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Franca Furlan, l’artista del viaggio e della condizione femminile
Franca Furlan è un’artista leonicena interessante con un fare artistico legato ai molti viaggi di lavoro che ha affrontato negli anni. Si deve sapere che queste opere di grande formato si avvalgono prima di tutto dell’utilizzo della fotografia (che traccia quindi l’ispirazione immediata) per poi in un secondo momento trascrivere il ricordo in un linguaggio artistico espressivo. La sua poetica in ogni caso è più complessa e si occupa della condizione femminile nel mondo per poi passare al ritratto, all’autoritratto e in piccola parte al paesaggio. Ha anche realizzato delle opere più grandi in cui l’arte diviene un vero e proprio diario in cui non solo si assiste alla progressione del viaggio, ma anche al tentativo di far memoria di attimi di quotidianità altrimenti perduti nelle pieghe della mente.
Autoritratto,
La prima opera presentata non può che essere questo autoritratto che ha il fascino del non finito (si veda la traccia di quadrettatura in basso a destra). Ciò è comunque una scelta compositiva dell’artista che, lei sì, ha la facoltà di decidere quando ritenere l’opera conclusa. L’effiggiata ha deciso di farlo in un modo che parli di sé, ma non come pittrice, bensì come donna fotografata dalla sua macchina durante uno dei suoi innumerevoli viaggi. Probabilmente l’artista è appena giunta in una delle sue mete e gode di un momento di rilassatezza nella sua stanza d’albergo. Ciò che sta osservando oltre la finestra dalle cangianti tende discoste è certamente la chioma di un albero. A questa visione è rivolta l’attenzione artistica mentre la fotocamera ci regala un profilo d’artista niente male. Il disegno e la precisione non sono molto importanti, non quanto il tentativo di resa emozionale ed evocativa di un raro momento di pace. Un dettaglio interessante è il grande orecchino che emette bagliori bianchi che si bilanciano e rafforzano la candidezza della vestaglia in contrasto con il colore della pelle. Infine abbiamo il tessuto cangiante azzurro che copre la sedia ed infonde un’energia meditativa e poi questo quaderno fuchsia… che cosa contiene? Forse quelle foto che poi diventeranno delle opere d’arte.
Sei donne sulla battigia,
Un gruppo di donne in pareo e turbante ci da le spalle mentre si appresta ad entrare in mare. L’ambientazione vede un prevalere di un cielo rosa-arancio con nubi bianche (che occupa la metà dello spazio), poi una porzione di mare chiaro, un po’ mosso, e infine una piccola fetta di battigia. Ognuna di queste donne è connotata da un differente atteggiamento, in parte sono isolate, in parte si relazionano tra loro. In comune hanno tutte il pareo e il turbante, ma diversi nei colori e nelle forme, i piedi nudi e la direzione verso cui si muovono. La donna in pareo nero avanza con allegro brio, la sua vicina invece pare rifletta silenziosa; la donna dall’abito bordeaux chiacchiera con la vicina in rosa e la sostiene; la vacanziera in blu è più indietro e si tiene la veste per non bagnarsi, mentre la sua amica avanza sognante poco più avanti. L’atmosfera che si respira è colma di mistero e sembra di assistere ad una vicenda sospesa, fuori dal tempo. C’è quasi l’idea di un viaggio per riconnettere queste donne alla natura, una sorta di liberazione ed anche un ritorno alla giovinezza. Che cosa potrebbe significare questa nube chiara dalla forma speculare? Tra l’altro pare illuminata da una luce diversa da quella del resto del cielo, più mattutina, e ciò enfatizza un senso di magia.
Marocco,
Siamo di fronte ad un’opera che documenta uno dei tanti viaggi dell’artista, la quale ha deciso di dare voce a queste donne, inconsapevoli protagoniste di una grande tela che si fa portavoce della loro condizione di vita. Una decina di donne, colme di spese, affronta in piedi un viaggio sul retro di un’auto guidata dall’unico uomo del gruppo. Si tratta in fin dei conti di una carovana, un servizio autobus privo di misure di sicurezza, che probabilmente è l’unico della zona a permettere loro di muoversi da un luogo ad un altro con più disinvoltura. Non si tratta di un dipingere che vuole essere iperrealistico, bensì di uno che desidera trasmettere un sentimento, qualcosa di più profondo, che traspare da questi volti velati. Il paesaggio sfuma invece sullo sfondo in gorghi, onde sabbiose che si confondono con il cielo grazie al calore del sole e alla velocità dell’auto. Ciò che si percepisce è una vita dura, che non fa sconti, povera, ma che ugualmente cerca di essere il più possibile dignitosa. Ovviamente la tela denuncia anche il diritto negato alle donne all’istruzione e alla possibilità di mettersi alla guida di un’auto.
Nepal,
L’idea che muove quest’opera è data dalla volontà di documentare, e quindi esporre, la condizione femminile toccata con mano nel mondo. Dietro le pennellate si cela molto di più e questi visi comunicano tutto perché sono espressivi e muovono in noi delle emozioni. Si tratta qui di una sorella con un fratello, oppure di una madre con un figlio? Non lo sapremo mai… Forse è più calzante la seconda e denuncia quindi uno sfruttamento che si avvale di usanze patriarcali che segregano, oggettificano la donna (in questo caso ancora bambina). Guardacaso il bambino che tiene sulle spalle è rivolto direttamente all’osservatore e sembra interrogarci con ingenua acutezza, labbra strette e mano a pugno. Di nuovo possiamo osservare uno sfondo molto offuscato di un color ocra che in basso trascolora nel verde. Quello che conta è ciò che un’immagine simile evoca ad un primo sguardo così come è stata colta dall’artista che ha deciso di fotografarla. Le loro effigi ci parlano anche se non conosceremo mai i loro nomi e sempre torneranno a farlo ogni qual volta riosserveremo questi dipinti.
Sud Africa,
Una ragazza dalla folta chioma sembra essere appena smontata dall’auto con cui è giunta alla sua destinazione e forse sta per andare all’università insieme ad uno/a collega. La condizione della donna è qui di gran lunga migliore se si pensa alla carovana di donne del Nord Africa vista prima. Non ci sono veli, ne rapporti male equilibrati tra uomo e donna (se vogliamo vedere un uomo nella figura di spalle) che qui vestono abiti uguali tranne che nei colori. Ciò che comunque colpisce di quest’opera è il trattamento vivace dello sfondo che si riverbera nelle figure che si parlano gioviali. Colori variopinti si esaltano a vicenda di edifici curati, ampi, con i giochi di bianco a porte e finestre che si mescolano con le ombre prodotte dal loro rapporto con il sole. Tornando alle figure c’è una spensieratezza che i volti delle donne marocchine non avevano, una gioia di vivere inedita, anche un quotidiano più accogliente, che non ha nulla della durezza precedente. Ad essere energica qui è la pennellata utilizzata, vigorosa e rapida, frutto certamente di un’ispirazione immediata che ha avvertito qualcosa in questa foto che doveva essere assolutamente comunicata tramite l’arte.
Ritratto di donna dagli occhi verdi,
Una donna a mezzo busto si rivolge con intensità all’osservatore seduta probabilmente su una sedia, di cui si vede parte dello schienale, in un interno illuminato da una finestra (si noti il suo riflesso in basso a sinistra). Un volto ovale, una fronte ampia, dei grandi occhi verdi, un naso dritto e una bocca carnosa sono incorniciati da una folta chioma di capelli biondo-castani. La donna è truccata e indossa dei gioielli esotici quali degli orecchini di pietra azzurra e poi svariati giri di una collana a grani di pietre rosse e azzurre. Anche in questo caso ritorna la fascinazione per il non finito perché ai due lati si vede chiaramente traccia della quadrettatura utilizzata. In questo ritratto l’artista vuole che la nostra attenzione si appunti nello sguardo e nella collana. Che cosa vorrà comunicare questa donna effiggiata? Traspare una grande serietà che dona alla donna un atteggiamento fiero e sicuro, risoluto, venato forse da una punta di nostalgia. A cosa starà pensando? Qual è il segreto pensiero di questo sguardo incantatorio e fisso? Non lo sapremo mai, ma non è forse questa la vera bellezza di un’opera d’arte?
L’articolo è proprietà intellettuale di Pierluigi Rossi.